CALCIO/Libri – La mafia nel pallone.

Forse non c’erano molti dubbi che le mafie fossero entrate nel mondo del calcio. Un libro di Daniele Poto adesso mette nero su bianco la sporcizia in questo ambiente. Il controllo del territorio, lo scambio con la politica. E 15 miliardi l’anno di riciclaggio.

ROMA – Pensare che le mafie, dalla mafia siciliana, alla ndrangheta calabrese, alla camorra campana e via dicendo, stessero lontano dal mondo del calcio, era una pia illusione. Tra l’altro smentita spesso dalle indagini di polizia che di tanto in tanto mettono sotto accusa dirigenze, ultras, organizzazioni per essere dedite ad affari se non direttamente mafiosi, certamente poco trasparenti.

In effetti, le mafie nel mondo del calcio sono così penetrate da tempo, che è stato possibile ricavare un libro, un racconto in forma di dossier di quanto il calcio sia ormai incancrenito con le metastasi della mafia al suo interno.

Un sistema che, come si legge nei vari rapporti, comincia fin dalle scuole-calcio, quando il giovane viene inserito in quel sistema anti-Stato, dove più che i meriti contano le appartenenze alle cosche, la raccomandazione “deviata”. Ed in questo, l’anello debole sono proprio i genitori, non a caso ritenuti spesso la piaga del calcio, pronti a qualunque compromesso per favorire l’escalation del figlio.

E poi ancora, tutto l’affaire del riciclaggio di denaro per squadre in cui la percentuale di stranieri è dell’ordine del 40% e dove si possono creare fondi neri con le irregolarità della compra-vendita.

Ma anche nelle piccole realtà la disonestà è la regola. In Sicilia, un certo Alfonso Sclafani, classe 1982, cambiava sempre nome ed età per giocare anche dove non poteva. Messosi in luce per questa “bravura”, ha fatto un provino all’Empoli ma non è stato scelto. Adesso fa l’idraulico a Palermo. E la statistica dice che in Sicilia, solo un tesserato su 10.000 arriva al grande calcio.

Tanti fatti che Daniele Poto, giornalista professionista con una sensibilità particolare per lo sport, ha messo in evidenza nel suo libro, “La mafia nel pallone“. Poto è pratico di sport avendo passato la sua vita professionale dentro diversi quotidiani tra cui Tuttosport, Messaggero, Corriere della Sera oltre che riviste specializzate nel mondo sportivo come Atletica Leggera, Jogging ed è stato “Giornalista dell’Anno” 1990 per la ginnastica. E’ autore di diversi libri, sia del settore sportivo che in genere tra cui si possono ricordare “Un’anima in fondo al canestro“, “Un delitto per male” ed ha in preparazione un noir dal titolo “Nessuna pietà per i vinti“.

Daniele Poto, giornalista sportivo, è l'autore del libro/inchiesta "La mafia nel pallone", Abele-Ega editore.

Lo scorso anno, per l’associazione Libera di Don Ciotti, associazione che lotta contro le mafie, ha curato un dossier sulla mani della mafia nel mondo del calcio. Questo dossier è adesso diventato un libro, edito dal gruppo Abele-Ega Editore che sarà in edicola agli inizi di ottobre.

Proprio di questo libro, abbiamo parlato con Daniele di mafia e calcio, di manipolazione sociale e sport. E le notizie non sono incoraggianti.

(Intervista fatta il 28 settembre 2010)

Domanda – Daniele, tu dici che la mafia è nel pallone. Non nel senso che è confusa ma proprio che è entrata nel mondo del calcio. Da quanto tempo?

Daniele PotoLa storicità dell’intervento si può circoscrivere con il tentativo di scalata di Chinaglia alla Lazio ovvero la prova per operazioni di serie A in tutti i sensi dopo una serie di preliminari nel calcio minore. Se la mafia è affare evidentemente non poteva prescindere da un intervento mirato nel mondo del calcio, una delle principali industrie del paese. E da quel giorno l’escalation è avvenuta in progressione geometrica con il massiccio impiego di investimenti e di persone, meglio se apparentate a famiglie mafiose.

D- Se la mafia è dentro il sistema del calcio, lo fa – diciamo – per spirito sportivo o ci sono altre motivazioni?

DP – Lo spirito è tutt’altro che sportivo. Il calcio è un pretesto, un aggancio per controllare il territorio. Ci imbattiamo in personaggi che sanno poco o nulla di sport, poco o nulla di calcio, ma che si affidano spesso sul posto ad addetti ai lavori conniventi ed omertosi. Ed il campanilismo fa il resto con l’ambiente, la piazza i tifosi, meglio se ultrà. La miscela diventa incandenscente, il rischio di omologazione altissimo.

D- Si parla di ipotesi di riciclaggio. Dovrebbero allora essere solo le grandi società ad essere interessate. Le piccole hanno difficoltà economiche e parlare di riciclaggio sembra impegnativo. O ci sono prove che accade anche in Eccellenza, Serie D e via dicendo?

DP Il riciclaggio in genere avviene nel segno di grandi capitali. Spesso con operazioni di import ed export off-shore in combinazioni con banche di paesi conniventi se non addirittura canaglia. Ma un riciclaggio di livello economico nettamente inferiore può scattare anche nel calcio minore sopratttuto se la sopravvivenza di un club è legato a contributi di Provincia, Regione, Comune e dunque altamente influenzabili. Qui l’intreccio tra calcio-mafia e politica spesso diventa stringente.

D- Il controllo della società civile attraverso il calcio, passa anche per le piccole realtà sociali, le piccole società di provincia?

DP – Sicuramente. E nel libro, con uno spaccato geografico a macchia di leopardo questo si constata soprattutto in Puglia. In un paesino come Racale la sintesi del controllo squadre-territorio-voto di scambio politico è un esempio classico. Ed in 2^ e 3^ categoria si si maschera meglio. Certi episodi non sono sotto le luce dei riflettori. L’operatività non è condizionata da un reale controllo.

D- Quanto è grande questo fenomeno? Si può dare un ordine di misura?

DP – Il giornalismo investigativo è alla ricerca di unità di misura. Si può, con un certo beneficio d’inventario, opinare che un 10% dei proventi annui delle mafie in Italia, provengano dal mondo del calcio. Dunque un’unità di grandezza che può essere valutata sui 15 miliardi di euro. E nei prossimi anni percentuale e valore economico sono annunciati in crescendo, come testimoniato anche da un recente allarmante rapporto dell’Ocse.

D- Geograficamente, questo fenomeno, ha delle caratterizzazioni? Più al sud o anche il nord è sotto questo scacco?

DP Nel libro l’area geografica va dal Lazio alla Calabria, interessando Puglia, Lucania e, naturalmente, Sicilia. Ma le recenti operazioni combinate di magistratura e forze dell’ordine fanno ritenere che la rivelazione sui prossimi fenomeni emergenti avverrà proprio al nord. E sarà una vera e propria sorpresa per chi continua a ritenere indenni dalla penetrazioni mafiosi certi territori, fintamente incontaminati.

D – Le tifoserie, parliamo magari delle zone a più ampio tasso di illegalità diffusa, hanno dei capo-bastone mafiosi? Insomma, sono controllate anche quelle?

DP – Sicuramente. Abbiamo ripetuti denunciati episodi a Napoli ed a Roma relativamente alle squadre locali, nel secondo caso la Lazio. Per semplificare allo stadio San Paolo non puoi vendere una bottiglietta di coca cola se non rientri nella sfera d’influenza dei clan. Insomma pizzo su pizzo. Ancora una volta all’insegna del grande affare economico.

D – La rivolta contro la “tessera del tifoso” può essere anche contro il rischio di un controllo troppo stretto delle forze dell’ordine sugli affiliati alle mafie?

DP – In parte si, in parte no. C’è anche una fascia genuina di tifosi chesi ribellano all’omologazione di una tessera che ha precisi risvolti commerciali nel tentativo di fidelizzazione della tifoseria. Ed il comportamento delle società nei confronti di questo ritrovato, contenenendo un elemento di diffusa ambiguità, ha ulteriormente confuso le acque.

D – Come hai studiato questo fenomeno mafioso? Hai trovato difficoltà, ci  sono dati, le procure hanno aperto dei dossier?

DP – A parte la bibliografia corrente, non tropo cospicua, ho frugato nelle migliaia di pagine dei rapporti antimafia e delle inchieste di polizia, spesso suggestivamente denominate con etichette di battaglia. Un’inchiesta non può prescindere dai rapporti investigativi e dalle intercettazioni, uno strumento investigativo indispensabile per la ricerca. Come si sa, incredibilmente messo in discussione negli ultimi tempi.

D – Quando si parla di mafia, si intende anche camorra e ndrangheta?

DP – Le mafie è un sostantivo plurale che tutto riassume. Dunque la mafia di cosa nostra, ma ‘ndrangheta, la sacra corona unita, la camorra e le infinite diramazioni localistiche. In Lucania ad esempio alcune di queste metastasi si incrociano in pericolose sintesi ad uso e consumo regionalistico e dei boss locali.

D – La connivenza dei presidenti delle società, è evidente e cosciente o si trovano a dover far buon viso a cattiva sorte come nel caso di imposizione del pizzo?

DP – I presidenti cercano di non compromettersi e spesso fanno gestire questo intricato e compromettente tipo di rapporti con personaggi di livello inferiore nell’organigramma societario. In questo modo riescono a dimostrare la propria buonafede. Potrei fare l’esempio del Palermo di Zamparini dove il personaggio che si è bruciato per le proprie frequentazioni è stato il dirigente Foschi.

D – La politica si appoggia a questo fenomeno? La politica è cosciente che esiste?

DP – La politica sa che il fenomeno esiste: la mafia. Come la mafia nel calcio. Spesso fa finta di dimenticarselo. Ma è in periferia e nelle isole che l’accoppiamento mafia-politica è più spesso verificato. Se il calcio è consenso è chiaro che può dare un cospicuo aiuto alla politica che su quello si fonda. Fino ad arrivare al voto di scambio.

D – Perché il calcio si ed altri sport no? Oppure ci sono anche infiltrazioni anche la?

DP – Uno scandalo nel cricket ha dimostrato che c’era un movimento di scommesse internazionale che truccava le partite. Nel basket un dirigente siciliano è stato messo sotto scacco da Dell’Utri. Per la mafia diventano interessanti e di rilievo gli sport di maggiore esposizione economica. Dunque basket, pallavolo e ciclismo per quanto riguarda la realtà italiana._

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  • TITOLO: “Le Mafie nel Pallone“, editore Abele-Ega, distribuzione Giunti – pagine 266, costo: 14€.

In Distribuzione nazionale dal 4 ottobre 2010.

1 thoughts on “CALCIO/Libri – La mafia nel pallone.

  1. “…In un paesino come Racale la sintesi del controllo squadre-territorio-voto di scambio politico è un esempio classico…”

    IO CI ANDREI CAUTO PRIMA DI FARE QUESTE GRAVI ACCUSE E FAR PASSARE UN “PAESINO” (CHE POI PROPRIO PAESINO NON E’ VISTO CHE, TRA LE ALTRE COSE, PER ALMENO 20 ANNI RACALE E’ STATO IL PRIMO PRODUTTORE EUROPEO DI CALZE) COME RACALE E FARLO PASSARE COME UN “PAESINO” CONTROLLATO DALLA MAFIA.

    RICORDO CHE SIAMO NEL MAGICO SALENTO E NON SIAMO COME LEI VUOLE FARCI PASSARE.

    NON E’ BELLO FARCI PASSARE PER MAFIOSI, PERCHE’ NON E’ COSI’, QUESTO E’ SEMPLICEMENTE FALSO.

    UN CONSIGLIO AL GIORNALISTA CHE HA SCRITTO IL LIBRO…QUANDO AI CONVEGNI PER PUBBLICIZZARE IL LIBRO PARLA DELLA PARTITA “RACALE – SQUINZANO” GIOCATA IN CAMPO NEUTRO PER MOTIVI DI “ORDINE PUBBLICO” COME SE CI FOSSE STATO IL RISCHIO DI SCONTRI FRA “MAFIOSI” NEL CASO SI FOSSE GIOCATO A RACALE, GUARDI CHE IL RACALE CALCIO GIOCAVA IN CAMPO NEUTRO DA MESI PER L’INDISPONIBILITA’ DEL PROPRIO STADIO DOVUTA A LAVORI DI RIFACIMENTO DEL MANTO ERBOSO (la partita fu giocata a ottobre 2009, i lavori finirono a dicembre 2009).

    E POI FU UNA PARTITA TRANQUILLISSIMA SENZA LE RICOSTRUZIONI FANTASIOSE DI CUI SI PARLA COME AD EAEMPIO LA “VOCE” CHE CIRCOLAVA SUGLI SPALTI SU UN FANTOMATICO “ORDINE” DI UN BOSS DI EVITARE SCONTRI (ASSURDO, SEMBRA UN FILM).

    CONTROLLI ANCHE LE ALTRE COSE CHE SI DICONO SU QUELLA PARTITA, LE GARANTISCO CHE SONO FALSE. SPERIAMO CHE CI SIA MENO SUPERFICIALITA’ NELLE COSE ANCHE AL FINE DI EVITARE DI INFANGARE UNA COLLETTIVITA’ ONESTA.

    VENGA A RACALE, VEDRA’ CHE CITTADINA LABORIOSA, PIENA DI GENTE ONESTA E CHE VIVE ANCHE DI TURISMO IN QUANTO AFFACCIATA SUL MARE, SI RENDERA’ CONTO CHE FORSE QUALCUNO HA PRESO UNA CANTONATA PARLANDO DI CERTE SCHIFEZZE SULLA NOSTRA BELLISSIMA CITTADINA._

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